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La Storia

Notizie storiche su Monterotondo Marittimo e il suo territorio


Il toponimo


Il Targioni-Tozzetti (1751) attribuisce il nome dell’abitato al colle sul quale sorge, che ha una forma pressoché conica; altre ipotesi (Mons Aerotumnus, dice Andrea Baccio) non trovano invece conferma nei primi documenti antichi in cui si fa sempre riferimento a Mons Ritundus. Anche il Pieri (1969) lo conferma come Monteritondo. Il toponimo è attestato al 30 Dicembre 1128, come risulta dal Regestum Volaterranum (Schneider 1907).
L’appellativo non è affatto infrequente in Italia e, trattandosi di un toponimo riferito alla morfologia del luogo, ciò ne accredita ancor più l’attribuzione.


Riferimenti storici rilevanti


Benchè in zona siano state ritrovate tracce di insediamenti etruschi e romani, il Castello (*) di Monterotondo è di sicure origini medievali, sebbene la data di nascita resti incerta; è del 1128 il primo atto (Regestum Volaterranum) in cui è nominato il Castello; il 30 di dicembre Guido di Ansaldo fa il pagamento del fodro e dei livelli spettanti all’Abbazia di Monteverdi per le proprietà nella corte di Monterotondo.
Il 10 di luglio del 1158 in un atto redatto in Pisa risulta tra altri toponimi del territorio volterrano anche “... confinibus et curte de Monteritondo ...”.
Nel 1163, l’imperatore Federico I (il Barbarossa) ricevette sotto la sua protezione il Conte Tancredi Alberti di Prato, chiamato Nontigiova, con signoria e residenza in Monterotondo.
Il 30 aprile 1176 il Papa Alessandro III nella bolla indirizzata all’abate di S. Pietro in Palazzolo elenca i beni di pertinenza dell’abbazia, tra cui molti relativi al Castello di Monterotondo.
Nel febbraio del 1208, morto il Conte Alberto IV, il Castello passa al figlio, Rinaldo (o Rainaldo). L’anno successivo Rinaldo si costituì cittadino Massetano, promettendo di stare unito in pace ed in guerra con i consoli del Comune di Massa, e di pagare un tributo annuo di un cero di 12 libbre ed una libbra d’argento.
Dal 3 di maggio del 1213 il Conte Rinaldo stipula alcuni atti di pace ed accordi militari con il Comune di Volterra.
Nel 1220 l’abate di S. Pietro in Palazzolo vendette i diritti relativi a Monterotondo al Conte Rinaldo Alberti.
Nel 1250 i Conti Pannocchieschi acquisirono la metà del Castello di Monterotondo per donazione di Ruggieri Gottifredo (figlio di Rinaldo) a Ranieri d’Elci e di Travale.
Il 27 novembre 1262 Bonaggiunta di Gio, sindaco del Comune di Massa, acquistò le due metà del castello di Monterotondo, ciascuna per 1500 lire, da Ranieri di Manuello, conte d’Elci, e da Gottifredo fu Rinaldo.
Nel dicembre del 1298 un tale “Gano di Ruggiero” esibisce al Pontefice Bonifacio VIII il titolo di Signore di Monterotondo, ottenendo il suo intervento tramite l’arcidiacono di Volterra; il Comune di Monterotondo si oppose all’intervento papale, dichiarandone l’estraneità sia territoriale che giurisdizionale.
Il 1° aprile 1327 il Comune di Monterotondo fece atto di obbedienza al vescovo volterrano Ranieri per ottenere la cancellazione della scomunica comminata per la partecipazione di alcuni suoi ‘masnadieri’ all’occupazione di Montieri da parte di Massa (1326).
Nel gennaio del 1331 il giovane ‘Comune di Monterotondo’ combattè a fianco dei Pisani contro i Senesi che vinsero e distrussero parte del Castello (le mura).
Nel 1333, cessata la guerra tra Pisa e Siena, Monterotondo giurò fedeltà al Comune di Massa; ambedue i paesi dipendevano dalla Signoria dei Dodici di Siena.
Nel 1336 Massa consegna a Siena il Castello di Monterotondo, ma nel 1348, a causa della diffusione della peste nera, Siena riconsegna Monterotondo a Massa; nel 1359 Monterotondo ritorna ancora sotto il dominio Senese; infine nel 1376 Siena si vede costretta ad affidare il Castello agli Uomini di Monterotondo per le troppe spese di presidio.
La peste, che nel 1348 colpì pesantemente tutta la Toscana, e Siena in particolare, risparmiò, invece, Monterotondo; ne fa fede l’Oratorio di S. Maria di cui si parla oltre.
E’ del 3 giugno del 1356 una ‘Sentenza di assoluzione del tribunale della Inquisizione verso gli uomini di Monterotondo’ relativa ad una scomunica, che risulta presso l’Archivio dei Conservatori di Siena al n. 81.
Nel 1373 la comunità di Monterotondo poteva contare su circa 500 ‘uomini’ (circa 1200 -2000, o più, abitanti).

Nel 1397, il primo di marzo (come recita lo Statuto del 1578), le milizie fiorentine, in guerra contro Siena, tentarono la presa del castello di Monterotondo, ma fu preso il “capo degli scalatori”, tale Pietro da Imola, e l’impresa abortì.
Nel 1399 Siena finanziò la riedificazione delle mura del Castello di Monterotondo a cura di Barna di Torino.
Nel 1424, in piena crisi demografica, Monterotondo poteva contare solo su 100 ‘uomini’. Nel 1433 Monterotondo vedeva ridotti gli ‘uomini’ a sole 80 unità, subito dopo una guerra; ma già nel 1445 gli abitanti erano aumentati a circa 600.
Nel 1479 Monterotondo subì un assalto di squadre di cavalleria fiorentine che provocarono danni alla cinta muraria.
E’ del 16 dicembre 1498 un contratto di affitto tra i responsabili del Comune di Monterotondo e Giovanni di Gabriele da Travale e maestro Luca da Monterotondo per le escavazioni di vetriolo nel comune; il contratto prevede l’apertura di una cava.
Dal 1500 circa fino al 1600 è attiva una cava di zolfo in località Frassine.
Nel 1552 vennero effettuati i restauri alle mura perimetrali a cura dell’architetto Bartolomeo di Bastiano Neroni, detto Il Riccio.
Il 26 ottobre 1554 Monterotondo combattè a fianco di Siena e venne assalita dalle truppe dei Medici, alleati con Spagna ed Austria, che persero 500 uomini, ma riuscirono a conquistare il Castello ed a distruggerlo; buona parte della popolazione fu uccisa. Il 7 dicembre il Comune di Monterotondo si sottomise al Duca di Firenze, pur continuando a far parte dello Stato di Siena.
Nel 1567 il Duca Cosimo I edificò lo stabilimento, detto ‘Edifizio’, per la produzione del vetriolo dall’acqua del Lago Boracifero.
Il 30 gennaio 1578 il Governatore della Città di Siena approvò lo ‘Statuto del Comune di Monterotondo’, qualificandolo copia dell’originale consumato dal tempo; si accredita una prima stesura a partire dal XIII secolo in base ai riferimenti storici.
Nel 1598 l’inviato granducale Fabiano Spini annota un numero di abitanti di Monterotondo di 441, con lieve prevalenza di femmine sui maschi.
Da metà del ‘500 a tutto il ‘600, raggiunta una certa quiete sotto il controllo mediceo, ci si dedica al riassetto sociale e territoriale; vengono ricostruite le case, le mura e restaurate opere pubbliche: la chiesa, la torre dell’orologio, il Santuario del Frassine, tutte nel 1625.
Dal 1650 al 1675 l’estrazione del vetriolo dal Lago Boracifero fu in affitto a Giovanni Battista Baldassarini.
Nel 1676 e 1680 vengono effettuate le ‘visite’ di B. Gherardini, inviato del Granduca Cosimo III a cui seguirono relazioni minuziose, con informazioni molto importanti sull’assetto socio-economico della comunità monterotondinese e su tutte le risorse del suo territorio.
Seguì nel 1745 la ‘visita’ di G. Targioni Tozzetti, famoso scienziato, che per conto del Duca Pietro Leopoldo I di Toscana stese una precisa e documentata relazione, di basilare riferimento oggi per le ricerche storiche.
Nel 1777 il direttore delle spezierie granducali, U. F. Hoefer, riscontra la presenza di acido borico nel Lagone Cerchiaio di Monterotondo.
Il 30 settembre 1786 il magistrato civico di Monterotondo fu onorato di una lettera ufficiale del Duca Leopoldo I di Toscana per l’impegno degli abitanti nella coltivazione dei terreni e per l’aumento dei poderi che da 12 erano divenuti 170.
Tra la metà del ‘700 e la metà dell’800 vennero aperte nuove cave e nuove industrie; il paese si ripopolò e nella campagna circostante sorsero numerose case coloniche, con vaste coltivazioni; nel 1745 gli abitanti erano 412; all’inizio dell’800 il naturalista Santi portava Monterotondo ad esempio di modello di sviluppo dei paesi della Maremma; nel 1833 gli abitanti erano diventati 1.335.
Tra il 1790 ed il 1791 venne realizzato l’edificio della Dogana Nuova in Monterotondo di cui si parla in dettaglio più oltre.
Nel 1812 iniziò la produzione di acido borico da parte di Guerrazzi, Brouzet e Baglioni che perfezionarono il metodo di estrazione; nel 1817 Monterotondo si trovò ad essere il primo paese al mondo produttore di questo composto. Da molte parti d’Italia giunsero richieste per la vendita o lo sfruttamento dei lagoni ed il paese divenne meta di frequenti visite di scienziati, chimici e ricercatori.
Nel 1818 Francesco de Larderel iniziò la produzione di borace dall’acido borico del Lago Cerchiaio.
Risale al 1827 la realizzazione di un ulteriore stabilimento per la produzione di acido borico e borace, presso il Lago Boracifero, e della cosidetta Fattoria del Lago, sovrastante, piccolo abitato destinato ai lavoratori.
Nel 1838 venne soppressa la Podesteria di Monterotondo e riunita al Vicariato Regio di Massa, divenendo, quindi, frazione di Massa.
Nel 1843 il giorno 8 aprile nasce Renato Fucini, insigne letterato e poeta, noto anche con lo pseudonimo di Neri Tanfucio (anagramma del nome).
Il 25 novembre Leopoldo II si recò in visita a Monterotondo per esprimere la sua compiacenza per il progresso agricolo del paese; gli abitanti raggiunsero le 1.655 unità.
Il 16 giugno del 1878 viene fondata la ‘Società Operaia di Monterotondo’, forma di mutua ante litteram, che opera anche per l’istruzione dei lavoratori.



Periodo contemporaneo


Nel 1906 viene costruito un acquedotto per rifornire maggiormente di acqua potabile il paese, prelevandola dalle sorgenti di località Pratini.
Il 16 febbraio 1944 al Frassine avviene un rastrellamento fascista in cui vengono trucidati diversi partigiani.
Il 10 giugno 1944 si svolse la cosidetta ‘Battaglia di Monterotondo’ tra partigiani e truppe tedesche, con morti da ambo le parti.
Nel 1958 fu realizzata la centrale geotemoelettrica dell’Enel adiacente all’abitato, dei Lagoni di Monterotondo M.mo. La potenza installata era di 15 MW.
Nel 1960 fu raggiunto il massimo della popolazione con 2.576 abitanti.
Il 27 gennaio del 1961 Monterotondo tornò ad essere Comune autonomo.
Dal 1997 a tutto il 2000 l’Amministrazione Comunale ha realizzato il rifacimento delle infrastrutture principali del centro abitato: impianto idrico, fognario, elettrico, telefonico; di rilievo un impianto di teleriscaldamento degli edifici tramite il vapore refluo della centrale geotermoelettrica. Parimenti è stata ristrutturata la sede viaria con lastre di pietra serena e posti in opera numerosi manufatti di arredo urbano.


Festa di S. Lorenzo


Sino al 2011 a Monterotondo si celebrava la Festa di S. Lorenzo questa affondava le radici nella storia e si trovava già citata nello Statuto del Comune del 1578, che prevede una forte multa per chi si macchi del reato di non intervenire ‘personalmente’ ed offrire un contributo.
Vista la norma così vincolante e le origini dello Statuto si può ragionevolmente attribuirne la genesi almeno al secolo XIII, se non alla stessa nascita del castello.
La festa contemporanea vedeva l’abitato ed il circondario ripartiti in tre rioni: La Porta, La Rocca, S. Bartolomeo; i primi due traevano le denominazioni dalle rispettive strutture del Castello, mentre il terzo da una chiesetta presente un tempo nella piazza Mario Cheli che ne conserva il nome solo nella tradizione orale. Le comunità appartenenti ai rioni si disputavano ogni anno il Palio durante la ‘Festa di s. Lorenzo’.
Il 10 di agosto si svolgevano 4 manifestazioni con differenti modalità:
- Un addobbo floreale e con vessilli; dalla settimana precedente
- Una rievocazione storica; la mattina del 10
- Una sfilata storica; il pomeriggio del 10
- Un Palio dei ciuchi; a seguire la sfilata.
La rievocazione si svolgeva nelle vie dei singoli rioni; la sfilata storica si effettuava lungo il percorso che circoscrive l'abitato, sino al centro; il Palio si correva lungo lo stesso percorso.
Al termine delle manifestazioni, una giuria competente di estranei a Monterotondo votava ed aggiudicava i premi per ciascuna realizzazione, salvo il Palio, che era assegnato al rione vincitore della corsa.
Rievocazione e sfilata erano ogni anno ispirate ad eventi differenti della storia di Monterotondo, con grande sforzo economico ed organizzativo dei Rioni.
Le comunità dei Rioni, in modo del tutto autonomo e volontaristico, provvedevano all'addobbo, ai costumi per le rappresentazioni, e all'addestramento del fantino. Tutti i rionali partecipavano per più mesi alla migliore realizzazione; anche la scelta dei figuranti cercando di coniugare l'aspetto fisico con il personaggio da interpretare.
La corsa dei ciuchi, pur essendo una versione meno nobile del ben più famoso Palio, vanta origini antiche in Toscana e la si rintraccia anche in altre cittadine.
La festa era molto sentita ed apprezzata, e gli abitanti, con accesa rivalità, partecipavano alle sorti dei propri Rioni; era quindi un'occasione di identificazione con il proprio campanile, con la comunità, con le tradizioni consolidate; è un modo per misurarsi e per esternare la genuina ironia e satira toscana.

S. Bartolomeo



Un tempo era presente una modesta chiesa (citata dal Gherardini nella sua visita del 1676) dedicata a questo martire nell’attuale piazza Mario Cheli. Particolare significato assume la devozione al santo, molto diffusa nel territorio di influenza volterrana, tanto da dedicargli numerose chiese in vari paesi; difatti venne considerato protettore degli indemoniati, degli ammalati di turbe psichiche, di epilessie, in particolare dei bambini. Apostolo e martire, il ‘santo guaritore’ era già popolare nell’alto medioevo dal VII secolo, e probabilmente andò a sovrapporsi a divinità precristiane locali con identiche proprietà taumaturgiche.

Profilo storico dell’abitato



Il Castello (*) di Monterotondo era circondato interamente da mura, di cui oggi rimangono visibili solamente brevi tratti, e numerose abitazioni fruivano dell’appoggio a queste; al presente sono talmente inglobate da non riuscire facilmente distinguibili.
In posizione sommitale esisteva la Rocca, cioè il cassero, dove attualmente persistono solo i ruderi. La struttura muraria è costituita da conci di pietra squadrata, ben allineati nei cosidetti ‘filaretti’. Si conserva parte dell’alzata, costruita nel XIV secolo sotto il dominio senese, con tracce di un soppalco. Dal cassero si dipartono altre strutture murarie, meno evidenti, che racchiudono una corte, corrispondente al cortile di una casa privata. Sul lato Est sono ben visibili i resti delle mura e di una torre rotonda forse di epoca successiva, trasformata in cisterna.
Nell’anno 2001 è iniziato un intervento di restauro conservativo e recupero dell’area a parco pubblico, i lavori sono stati ultimati nel 2002 e adesso questo spazio dimenticato da secoli e’ stato restituito ai cittadini .
Nel borgo l’origine medievale appare palese sia nelle caratteristiche strade strette, sia nelle case addossate le une alle altre, che nelle abitazioni più esterne, edificate sulla cinta muraria di difesa.
Esistevano due porte di accesso: la Porta alla Torre e la Porta all’olmo; la prima, ancora esistente, è rivolta ad Est e realizzata in conci di pietra squadrata nella parte inferiore e superiormente in mattoni ad arco a tutto sesto, (forse il restauro del Riccio); il suo etimo deriva da una torre adiacente a destra di cui permane buona parte; l’altra si trovava a Sud, ma attualmente si rinvengono solo rari indizi di un torrione nella muratura esterna e nella denominazione del rione; da questa porta saliva la cosidetta Strada Maestra (oggi via Bardelloni) verso il Palazzo Comunale e, proseguendo, verso la Chiesa di S. Lorenzo.
Al centro è presente una piazzetta a cui confluiscono le vie principali dei quartieri, tutte lastricate in pietra serena; è contornata su due lati da un caratteristico loggiato. Non è nota la datazione esatta di questo manufatto, tuttavia cinquecentesco, poiché citato nello Statuto del Comune del 1578 ed ivi indicato come Loggia del Comune, ove si teneva il mercato; risulta realizzata prevalentemente in pietra serena con rocchi sovrapposti a formare le colonne, capitelli di ordine dorico ed archivolti.
Superiormente al loggiato fu edificata la Dogana Nuova nel maggio 1791, come risulta dal progetto d’epoca (Orsi 1791); insiste su due lati della piazza ed affaccia parzialmente sull’attuale via Bardelloni; realizzato su tre piani, di cui uno terreno, presenta un paramento di laterizi e conci lavorati con le cornici delle finestre in pietra serena; costituiva sede di pagamento ed alloggio delle guardie della Dogana, con ingresso sotto il loggiato.
Su di un altro lato della piazza sorge il Palazzo Comunale (ex Palazzo della Giustizia) con la torre dell’orologio; l’edificio è già citato nello Statuto, sebbene solo nel 1613 sia attestata la costruzione della torre civica; peraltro l’origine può essere sicuramente attribuita al XII-XIII secolo. Allo stato attuale si riconoscono alcuni stilemi secenteschi, sebbene in epoca recente sia stato totalmente rifatto, a seguito dei danni del terremoto del 1970, mentre tracce dell’antica struttura sono riconoscibili nei due archi che si aprono sulla facciata.
Sotto la piazza è nota la presenza di una grande cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, con corridoio sotterraneo, mentre al centro della piazza stessa esisteva, perlomeno fino a tutto il XVIII secolo, un puteale per attingere alla cisterna; il Gherardini riferisce che in paese ne esistevano altre quattro, benché attualmente sia ignota l’ubicazione.
Quasi adiacente alla porta superstite è presente una fontana pubblica, il cui stile la fa attribuire ad epoca granducale; probabile ristrutturazione di una precedente che forse un tempo si alimentava dalla cisterna tramite un condotto.
Superato un sottopasso, in via Varese è presente il Teatro dei Filarmonici, fabbricato della metà del XIX secolo che all’epoca soddisfece le esigenze culturali degli abitanti; edificio a tre piani di non particolare pregio in cui al piano terra persiste la struttura con platea e palcoscenico; lo stato attuale è di totale abbandono e non sono previsti progetti di recupero; è in uso a Pro Loco come deposito.

La Chiesa



Al termine della ‘Via Maestra’ è presente la Chiesa di S. Lorenzo, di impianto coevo al castello; fu suffraganea della Pieve di Commessano (vedere scheda su Sasso Pisano) e prioria, divenne propositura nel 1771; ancora oggi è soggetta alla diocesi volterrana.
L’edificio attuale è frutto di più interventi che hanno alterato il corpo di fabbrica originario, rendendo irriconoscibile la struttura medievale. Sono noti ampliamenti effettuati intorno all’inizio del XVII secolo ed altri all’inizio del XIX, nel 1732 un terremoto costrinse ad abbassare il campanile. Gli ultimi interventi sono del 1993, riguardanti opere di restauro conservativo e ripristino degli esterni. Tuttavia, alcuni elementi di pietra alberese squadrata, rilevati sul lato Nord, ed il preciso orientamento Est-Ovest della navata, secondo le regole medievali, portano a ritenere che la chiesa originaria sia presente perlomeno come fondazioni. Tra le varie modifiche è probabile un rialzamento del piano di calpestio, tale da consentire la realizzazione delle gradinate esterne; conseguente a ciò risulta l’apparente abbassamento delle volte e di un sottopasso esterno in corrispondenza del braccio destro del transetto.
La costruzione appare non dissimile da altre rimaneggiate intorno all’800, neoclassiche e ripetitive; esternamente propone un insolito ingresso laterale su piazza Don Puccioni, funzionale alla cappella della Misericordia, mentre la vera facciata, ed il relativo ingresso principale, risultano dietro l’angolo sinistro; questa anomala disposizione soddisfa l’orientamento già citato. L’edificio ha una pianta a croce latina, cappella della Misericordia a parte, aggiunta sul lato sinistro della navata; la copertura è a capanna; sul lato Sud presenta tre grandi aperture lucifere che forniscono una buona illuminazione interna; il pavimento è in cotto a grossi quadrotti.
All’interno si possono ammirare due pregevoli dipinti, sebbene di anonimi. Una tela di grandi dimensioni denominata ‘Esequie di una giovane nobile’, per il soggetto rappresentato, del primo Ottocento in stile Neoclassico-Romantico sita nella cappella della Misericordia, alle spalle dell’altare.
Molto più nota e ragguardevole la tavola nel lato destro del transetto, indicata come ‘Madonna col Bambino’ (o anche ‘Madonna del Coro’) di un artista identificato come “Maestro di Monterotondo e di Pomarance”. Dipinto del XIV secolo ed assimilato ad una scuola senese; l’immagine attualmente esposta è una riproduzione, poiché l’originale, restaurato a Siena, è ancora in questa città per ragioni di sicurezza; se ne prevede il ritorno in tempi brevi; l’opera è illustrata più avanti nel testo.
Su di una parete dell’abside (attuale sagrestia) è presente un’epigrafe relativa alla consacrazione della chiesa effettuata il 14 ottobre 1625 (conseguente ai lavori già citati in cronologia) da parte del vescovo volterrano Bernardo Inghirami; in questa occasione furono accolte alcune reliquie di s. Calisto (di cui oggi si è perduta traccia).
Il campanile, ribassato in seguito ai danni del terremoto del 1970, si presenta perciò con una estetica approssimativa e discutibile (merlature in cemento armato); la cella campanaria accoglie 4 bronzi, uno per ogni punto cardinale; il più datato è del 1806, rivolto ad Est, dedicato alla ‘Madonna della grandine’, con la seguente iscrizione: “A grandine et mala pluvia libera nos domine”; ad Ovest, dedicato a s. Lorenzo, del 1839; a Nord, del 1887, di non chiara dedica, realizzata a spese di Giuseppe Fiaschi; a Sud, del 1851, dedicato alla Madonna dei dolori.
Dal testo dell’Isolani (1937) si apprende che:
“... Nella Canonica annessa alla chiesa di S. Lorenzo, nella saletta da pranzo, vi è questa epigrafe: “Perchè il 25 Novembre 1843 vennero nella Canonica Leopoldo II e Antonia Augusta e fecero lieto di loro presenza il popolo di Monterotondo. Il preposto Giuseppe Quoqui esultante per sì distinto onore volle che questa memoria crescesse lode ai terrazzani la cui agraria solerzia meritò gli encomi del Principe.”
Qui ci si riferisce alla lettera di lode che in data 30 Settembre 1786 il principe Leopoldo fece pervenire al magistrato civico perchè, mentre nel 1600 i poderi della parrocchia erano appena 12, a quel tempo avevano raggiunto i 170. ...”
Di questa epigrafe si sono perse le tracce.

Profilo della ‘Madonna col Bambino’



Quest’opera, artisticamente molto pregevole, ben al di là di quanto sia considerata dagli stessi abitanti di Monterotondo, viene spesso liquidata in due righe da alcune pubblicazioni, forse non avendola neppure visionata e valutata; peraltro, ad accentuare questa scarsa stima, contribuisce anche una tabella posta davanti alla chiesa e relativa all’iniziativa ‘I luoghi della fede’, indicante la tavola come “... primocinquecentesca...”, che, oltre a confondere le idee, la svaluta decisamente poiché, preso ciò per vero, risulterebbe solo una modesta opera in stile anteriore.
Gli studiosi di storia dell’arte che se ne sono interessati (Stubblebine 1979, Lessi 1996, Bellosi 1983) la attribuiscono senza dubbio al cosidetto Maestro di Monterotondo e Pomarance formatosi alla scuola di Duccio di Boninsegna; ciò risulta indiscutibile anche per i profani per la sorprendente somiglianza con le famose Madonne di Duccio, presenti, sia nella cattedrale di Massa M. che nel museo diocesano di Cortona, ed inoltre con la ‘Madonna di Santa Cecilia’ (Siena, Museo dell’opera), in cui le lunette con gli angeli ed i panneggi risultano quasi sovrapponibili.
Il dipinto è realizzato a tempera su tavola di 98 x 55 cm ed in origine doveva costituire la parte centrale di un trittico o di un polittico; il nome con cui è catalogata è ‘Madonna col Bambino e Angeli’’, l’autore risulta attivo ca. tra il 1320 ed il 1340.
La forte affinità con la Madonna del Cardellino conservata nella pieve di S. Giovanni Battista a Pomarance induce a ritenere che si tratti del medesimo artista; questo dipinto è attestato al 1323 dall’iscrizione sulla stessa opera.
Il lavoro di Monterotondo manifesta una cultura ancora strettamente duccesca mentre la Madonna di Pomarance mostra una maggiore articolazione delle figure ed una certa raffinatezza formale che denuncia un aggiornamento sulla pittura di Simone Martini; pertanto la Madonna di Monterotondo può essere plausibilmente collocata nei primi anni del Trecento.
A questo stesso artista vengono attribuite la Madonna col Bambino della chiesa di S. Lorenzo a Mazzolla, oggi nel Museo Diocesano di Arte Sacra di Volterra, ed i due laterali di un polittico rappresentante i Santi Giustino e Ugo, conservati nella Pinacoteca della stessa città.
Il Lombardi (1997) riferisce di una ipotetica provenienza della tavola da una chiesa non identificata di uno tra i castelli circostanti: Castiglion Bernardi, Cugnano o Rocchette; tuttavia questa ipotesi non convince per alcuni motivi: la dedicazione delle chiese dei castelli ad altri santi; tutt’e tre le realtà citate a partire dagli inizi del ‘300 versano in una crisi che alla metà del secolo vedrà l’abbandono degli abitati per varie cause; lascia pertanto perplessi la commissione di un nuovo dipinto in questi frangenti. Tra l’altro Cugnano e Rocchette risultano castelli ‘minerari’ e quindi ben poco interessati ad un dipinto di pregio.
Invece appare più qualificato l’Oratorio di S. Maria di Monterotondo (illustrato in precedenza), e ciò collimerebbe sia per il soggetto come per la motivazione connessa al voto, sebbene con qualche problema di slittamento delle date.

La demografia


Nonostante oggi certi numeri possano fare sorridere, la popolazione di Monterotondo nelle varie epoche è stata, salvo particolari momenti, sempre molto consistente; lo stesso Targioni-Tozzetti (1751) osserva che: “...Monterotondo è un Castello de’ più popolati delle Maremme, poichè vi si contano circ’a 700 abitanti fissi ...”; difatti l’attività mineraria del suo territorio, ed il relativo indotto, è sempre stata ingente, e, pur non avendo arricchito i suoi abitanti (ma certamente i vari ‘potenti’ che si sono succeduti), tuttavia ha dato loro sostentamento anche in epoche in cui altri paesi maremmani si spopolarono per carestie, guerre, crisi economiche, etc..
Come termine di paragone si può citare: Monteverdi con un incremento di abitanti dai 342 del 1351 ai 621 del 1839; Campiglia che ne aveva 887 nel 1551, 646 nel 1630, 316 nel 1631, 773 nel 1745 e solo nel 1833 raggiunse i 2141 abitanti.
Nel 1960 fu raggiunto il massimo della popolazione nel nostro Comune con ben 2.576 abitanti; tuttavia la scomparsa della mezzadria (1964), il richiamo del polo siderurgico di Piombino, e la progressiva chiusura delle miniere presenti nel territorio, ha determinato in passato un esodo ed un invecchiamento progressivo della popolazione ivi residente. Tale fenomeno, verificatosi analogarmente in tutta la Toscana, è stato qui accentuato sia dalla notevole distanza da aree urbane industrializzate, sia dai caratteri morfologici e pedologici dei terreni.
Dal confronto dei dati demografici degli anni recenti si osserva un costante calo degli abitanti residenti fino al 1991. Successivamente la popolazione si è stabilizzata attorno a circa 1350 abitanti con densità di circa 13 ab/km2.

Ospiti di rango



Dal Bollettino della Società Storica Maremmana (1964) si rileva come a Monterotondo siano stati presenti anche personaggi di rami secondari di casate nobili senesi; sembra che il fatto sia in qualche modo da ricollegare con la cosidetta Guerra di Siena che, dal 1551 al 1559, insanguinò buona parte delle provincie, sia di Siena, che di Grosseto, ed in parte anche Arezzo, Lucca e Pisa; fu allora che le fazioni contrarie si sparsero nelle campagne per sfuggire ai nemici.
Dall’ Archivio Diocesano di Volterra, ove si conservano le carte della Chiesa di Monterotondo, risultano due atti intestati a cognomi illustri.
Nel 1680, 3 ottobre, morte di Vittoria, già moglie di Giovanni Domenico de Piccolomini.
Di questa famiglia, oltre ai papi Pio II e III, si ricorda Ottavio (1600-1656), grande generale, governatore dei Paesi Bassi e principe del Sacro Romano Impero nel 1650.
Nel 1693, 20 gennaio, matrimonio tra Mattia del fu Mario Chigi, di questa Parrocchia, e Giovanni Salvatori volterrano.
Per i Chigi vanno ricordati: il capostipite, Agostino (1465-1520), banchiere molto legato al papato; Fabio (1599-1667), divenne papa col nome di Alessandro VII.

La battaglia di Monterotondo


Dal ‘Diario partigiano’ di M. Tanzini, riportato dal Groppi (2001) si apprende che il 9 giugno 1944 una sessantina di partigiani della III Brigata Garibaldi “Camicia Rossa”, comandata dal maggiore Mario Chirici e dal tenente Alfredo Gallistru entrarono in Monterotondo tra l’entusiasmo della popolazione; lo scopo fu di distribuire agli abitanti e agli sfollati piombinesi alcuni generi alimentari per esternare la gratitudine dei partigiani verso coloro che si erano distinti nel sostegno alla Resistenza. La mattina seguente venne intercettato un convoglio tedesco lungo la statale, subito fuori del paese, e la battaglia infuriò per alcune ore, con perdite da ambo le parti. Tra i partigiani morirono il tenete Gallistru, il monterotondino Mario Cheli, il piombinese Ateo Casalini, Ercole Ferrari di Sassuolo, Gino Borsari di San Felice sul Tanaro. Terminato lo scontro a fuoco con la ritirata nei boschi degli uomini della Resistenza, i tedeschi entrarono in paese, sparando, gettando bombe e facendo un rastrellamento; catturarono alcuni ostaggi e li fecero posizionare per la fucilazione; sembra che un ufficiale fermò l’operazione affermando: “... questi non sono partigiani; non hanno la camicia rossa!” Peraltro non avvennero ritorsioni di alcun genere né verso la popolazione, né verso gli immobili.

G.R.S.N.A.
Gruppo Ricerca Storica Naturalistica Ambientale

Lo Statuto di Monterotondo Marittimo